Al di la delle discussioni e le dispute, l'Unità dei Cristiani è preghiera di Cristo

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Caterina63
00lunedì 25 gennaio 2010 18:57
                    Vespri 2010



In attesa del testo integrale appena pronunciato nell'Omelia del Santo Padre, vi proponiamo da Radio Vaticana questa meditazione:


Questo pomeriggio, alle 17.30, il Papa presiederà la celebrazione dei secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani; vi prenderanno parte rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma. Quest’anno il tradizionale appuntamento ecumenico si è svolto sul tema della testimonianza comune dei cristiani: una dimensione costantemente ripresa dagli insegnamenti di Benedetto XVI, come ci riferisce in questo servizio Sergio Centofanti:

Sulla via dell’unità – afferma Benedetto XVI - il primato spetta senz’altro alla preghiera comune dei cristiani. Ma prioritario è anche ascoltare insieme la Parola di Dio:

 
“Non siamo infatti noi a fare o ad organizzare l’unità della Chiesa. La Chiesa non fa se stessa e non vive di se stessa, ma della parola creatrice che viene dalla bocca di Dio. Ascoltare insieme la parola di Dio … costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità nella fede ... Chi si pone all’ascolto della parola di Dio può e deve poi parlare e trasmetterla agli altri ... Dobbiamo chiederci: noi cristiani, non siamo diventati forse troppo muti? Non ci manca forse il coraggio di parlare e di testimoniare … Il nostro mondo ha bisogno di questa testimonianza; attende soprattutto la testimonianza comune dei cristiani”. (Omelia del 25 gennaio 2007)

 
La conversione di San Paolo – spiega il Papa – ci indica la via verso l’unità, che è dono di Cristo risorto:

 
“La conversione esige il nostro sì …ma non è ultimamente un’attività mia, ma dono, un lasciarsi formare da Cristo; è morte e risurrezione. Perciò san Paolo non dice: ‘Mi sono convertito’, ma dice ‘sono morto’, sono una nuova creatura. In realtà, la conversione di san Paolo non fu un passaggio dall’immoralità alla moralità – la sua moralità era alta -, da una fede sbagliata ad una fede corretta – la sua fede era vera, benché incompleta -, ma fu l’essere conquistato dall’amore di Cristo: la rinuncia alla propria perfezione, fu l’umiltà di chi si mette senza riserva al servizio di Cristo per i fratelli. E solo in questa rinuncia a noi stessi, in questa conformità con Cristo possiamo essere uniti anche tra di noi, possiamo diventare ‘uno’ in Cristo. E’ la comunione col Cristo risorto che ci dona l’unità”. (Omelia del 25 gennaio 2009)

 
Non c’è testimonianza comune senza l’amore, perché Dio è Amore: in Lui – sottolinea il Pontefice - la diversità non è più ostacolo che ci separa, ma “ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune”:

 
“L'amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall'esterno, ma che dall'interno dà forma, per così dire, all'insieme. È il mistero della comunione, che come unisce l'uomo e la donna in quella comunità d'amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d'amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d'amore è posta la Chiesa di Roma che, secondo l'espressione di sant'Ignazio di Antiochia, presiede alla carità". (Omelia del 25 gennaio 2006)

 
La testimonianza comune – afferma Benedetto XVI - “è la condizione perché la luce di Cristo si diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano e siano salvati”:

 
“Quanta strada sta dinanzi a noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più lena riprendiamo il cammino insieme. Cristo ci precede e ci accompagna. Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza; da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell'unità e della pace”. (Omelia del 25 gennaio 2006)




Caterina63
00lunedì 25 gennaio 2010 20:49
OMELIA DEL SANTO PADRE Vespri per san Paolo 2010

Cari fratelli e sorelle,

riuniti in fraterna assemblea liturgica, nella festa della conversione dell’apostolo Paolo, concludiamo oggi l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Vorrei salutare voi tutti con affetto e, in particolare, il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e l’Arciprete di questa Basilica, Mons. Francesco Monterisi, con l’Abate e la Comunità dei monaci, che ci ospitano. Rivolgo, altresì, il mio cordiale pensiero ai Signori Cardinali presenti, ai Vescovi ed a tutti i rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali della Città, qui convenuti.

Non sono passati molti mesi da quando si è concluso
l’Anno dedicato a San Paolo, che ci ha offerto la possibilità di approfondire la sua straordinaria opera di predicatore del Vangelo, e, come ci ha ricordato il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24, 48) -, la nostra chiamata ad essere missionari del Vangelo. Paolo, pur serbando viva ed intensa memoria del proprio passato di persecutore dei cristiani, non esita a chiamarsi Apostolo. A fondamento di tale titolo, vi è per lui l’incontro con il Risorto sulla via di Damasco, che diventa anche l’inizio di una instancabile attività missionaria, in cui spenderà ogni sua energia per annunciare a tutte le genti quel Cristo che aveva personalmente incontrato.

Così Paolo, da persecutore della Chiesa, diventerà egli stesso vittima di persecuzione a causa del Vangelo a cui dava testimonianza.

Scrive nella
Seconda Lettera ai Corinzi: "Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato... Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese" (2 Cor 11,24-25.26-28).
La testimonianza di Paolo raggiungerà il culmine nel suo martirio quando, proprio non lontano da qui, darà prova della sua fede nel Cristo che vince la morte.

La dinamica presente nell’esperienza di Paolo è la stessa che troviamo nella pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. I discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore risorto, tornano a Gerusalemme e trovano gli Undici riuniti insieme con gli altri. Il Cristo risorto appare loro, li conforta, vince il loro timore, i loro dubbi, si fa loro commensale e apre il loro cuore all’intelligenza delle Scritture, ricordando quanto doveva accadere e che costituirà il nucleo centrale dell’annuncio cristiano. Gesù afferma: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme" (Lc 24,46-47).
Questi sono gli eventi dei quali renderanno testimonianza innanzitutto i discepoli della prima ora e, in seguito, i credenti in Cristo di ogni tempo e di ogni luogo. E’ importante, però, sottolineare che questa testimonianza, allora come oggi, nasce dall’incontro col Risorto, si nutre del rapporto costante con Lui, è animata dall’amore profondo verso di Lui. Solo chi ha fatto esperienza di sentire il Cristo presente e vivo – "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!" (Lc 24,39) -, di sedersi a mensa con Lui, di ascoltarlo perché faccia ardere il cuore, può essere Suo testimone! Per questo, Gesù promette ai discepoli e a ciascuno di noi una potente assistenza dall’alto, una nuova presenza, quella dello Spirito Santo, dono del Cristo risorto, che ci guida alla verità tutta intera: "Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso" (Lc 24,49), dice agli Undici e a noi. Gli Undici spenderanno tutta la vita per annunciare la buona notizia della morte e risurrezione del Signore e quasi tutti sigilleranno la loro testimonianza con il sangue del martirio, seme fecondo che ha prodotto un raccolto abbondante.

La scelta del tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno, l’invito, cioè, ad una testimonianza comune del Cristo risorto secondo il mandato che Egli ha affidato ai discepoli, è legata al ricordo del centesimo anniversario della Conferenza missionaria di Edimburgo in Scozia, che viene considerato da molti come un evento determinante per la nascita del movimento ecumenico moderno. Nell’estate del 1910, nella capitale scozzese si incontrarono oltre mille missionari, appartenenti a diversi rami del Protestantesimo e dell’Anglicanesimo, a cui si unì un ospite ortodosso, per riflettere insieme sulla necessità di giungere all’unità per annunciare credibilmente il Vangelo di Gesù Cristo.

Infatti, è proprio il desiderio di annunciare agli altri il Cristo e di portare al mondo il suo messaggio di riconciliazione che fa sperimentare la contraddizione della divisione dei cristiani. Come potranno, infatti, gli increduli accogliere l’annuncio del Vangelo se i cristiani, sebbene si richiamino tutti al medesimo Cristo, sono in disaccordo tra loro?

Del resto, come sappiamo, lo stesso Maestro, al termine dell’Ultima Cena, aveva pregato il Padre per i suoi discepoli: "Che tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda" (Gv 17,21). La comunione e l’unità dei discepoli di Cristo è, dunque, condizione particolarmente importante per una maggiore credibilità ed efficacia della loro testimonianza.

Ad un secolo di distanza dall’evento di Edimburgo, l’intuizione di quei coraggiosi precursori è ancora attualissima. In un mondo segnato dall’indifferenza religiosa, e persino da una crescente avversione nei confronti della fede cristiana, è necessaria una nuova, intensa, attività di evangelizzazione, non solo tra i popoli che non hanno mai conosciuto il Vangelo, ma anche in quelli in cui il Cristianesimo si è diffuso e fa parte della loro storia.

Non mancano, purtroppo, questioni che ci separano gli uni dagli altri e che speriamo possano essere superate attraverso la preghiera e il dialogo, ma c’è un contenuto centrale del messaggio di Cristo che possiamo annunciare tutti assieme: la paternità di Dio, la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte con la sua croce e risurrezione, la fiducia nell’azione trasformatrice dello Spirito. Mentre siamo in cammino verso la piena comunione, siamo chiamati ad offrire una testimonianza comune di fronte alle sfide sempre più complesse del nostro tempo, quali la secolarizzazione e l’indifferenza, il relativismo e l’edonismo, i delicati temi etici riguardanti il principio e la fine della vita, i limiti della scienza e della tecnologia, il dialogo con le altre tradizioni religiose. Vi sono poi ulteriori campi nei quali dobbiamo sin da ora dare una comune testimonianza: la salvaguardia del Creato, la promozione del bene comune e della pace, la difesa della centralità della persona umana, l’impegno per sconfiggere le miserie del nostro tempo, quali la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni.

L’impegno per l’unità dei cristiani non è compito solo di alcuni, né attività accessoria per la vita della Chiesa. Ciascuno è chiamato a dare il suo apporto per compiere quei passi che portino verso la comunione piena tra tutti i discepoli di Cristo, senza mai dimenticare che essa è innanzitutto dono di Dio da invocare costantemente. Infatti, la forza che promuove l’unità e la missione sgorga dall’incontro fecondo e appassionante col Risorto, come avvenne per San Paolo sulla via di Damasco e per gli Undici e gli altri discepoli riuniti a Gerusalemme. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, faccia sì che quanto prima possa realizzarsi il desiderio del Suo Figlio: "Che tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda" (Gv 17,21). Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana. Con brevi aggiunte a braccio a cura di ZENIT]



Pope Benedict XVI blesses the faithful upon his arrival at St. Paul outside the walls' Basilica in Rome, Monday, Jan. 25, 2010, to celebrate a Vespers ceremony.

Pope Benedict XVI celebrates a Vespers ceremony at St. Paul outside the walls' Basilica in Rome, Monday, Jan. 25, 2010.

Pope Benedict XVI blesses the faithful upon his arrival at St. Paul outside the walls' Basilica in Rome, Monday, Jan. 25, 2010, to celebrate a Vespers ceremony.


Caterina63
00giovedì 17 giugno 2010 22:49

Le Chiese cristiane in Ucraina
a difesa della moralità pubblica



Kiev, 17. In un messaggio approvato all'unanimità i responsabili delle Chiese cristiane in Ucraina manifestano all'opinione pubblica la necessità di proteggere gli alti principi morali e i valori della famiglia.

Nel documento - del quale il Religious information service of Ukraine riporta una sintesi, citando come fonte l'Istituto per la libertà religiosa - i leader cristiani esprimono il loro "fermo disaccordo con i comportamenti dei protagonisti alla guerra di informazione volta a screditare e a impedire l'attività del Comitato nazionale di esperti sulla protezione della pubblica moralità".
 
Secondo i rappresentanti ecclesiali, "la passività dello Stato nell'ambito della concreta protezione della moralità pubblica equivale alla promozione del degrado morale, poiché solo lo Stato ha i mezzi per un intervento legale. Noi non possiamo con il nostro tacito consenso permettere la totale distruzione in Ucraina dei sani principi morali, dei valori familiari, della cultura della comunicazione e del rispetto reciproco nelle relazioni fra le persone".

La società ucraina è minacciata - si legge nel testo - da una "propaganda di guerra, dall'ostilità nazionale e religiosa, dal culto della crudeltà e della violenza, dalla diffusione della pornografia". Per questo i rappresentanti cristiani invitano l'opinione pubblica, il presidente, il Consiglio supremo, il Consiglio dei ministri, i responsabili delle istituzioni locali e i proprietari dei media "a riflettere su quali valori e cultura della comunicazione stiamo trasmettendo ai nostri figli e lasceremo in eredità alle future generazioni". Va protetto "il diritto costituzionale a vivere in una società democratica dove le norme di moralità, il rispetto per l'onore e la dignità sono garantiti dalla legge".

L'appello è firmato dalla Chiesa ortodossa - Patriarcato di Mosca, dalla Chiesa ortodossa - Patriarcato di Kiev, dalla Chiesa greco-cattolica, dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa luterana e da quattro denominazioni evangeliche.


(©L'Osservatore Romano - 18 giugno 2010)





Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 19:44

Gesù è sempre colui che riscalda il cuore della sua Chiesa. L’esperienza che i due discepoli di Emmaus fecero lungo la strada, quando il misterioso pellegrino «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27), divenne esperienza dell’intera comunità riunita a Gerusalemme perché il Signore «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (Lc 24,45).

Il Risorto abilita la sua Chiesa a "far memoria" ricordando le parole che egli aveva detto e che si sono compiute, in pieno accordo con il piano salvifico del Padre attestato nelle Scritture. Ma la memoria è finalizzata all’annuncio. La Chiesa non può dimenticare che esiste per la missione!
 Nel nome di Gesù crocifisso e risorto occorre predicare «a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47).

Ma come annunciare il Risorto, come predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono senza tener conto che i cristiani sono lacerati da interne divisioni e rivalità? Gesù fa leva sulla testimonianza. Solo chi vive ciò che annuncia è degno di fede. Solo una Chiesa riconciliata può essere segno credibile di riconciliazione universale, quale il suo Signore la vuole. Non si può far finta di niente. Occorre prendere consapevolezza dello scandalo che le nostre divisioni costituiscono in ordine alla missione.

Ma una Chiesa "riconciliata" NON può ammettere  compromessi dottrinali, altrimenti si rischia di predicare una immagine di Cristo a seconda di quante sono le Comunità ecclesiali anche separate....Noi predichiamo IL RISORTO CHE ABITA E VIVE NELLA SUA CHIESA, abita e vive nell'Eucarestia della quale non è un simbolo, ma L'ESSENZA, viva Carne e vivo Sangue immolati.
Ci vuole umiltà per predicare la Persona di Cristo perchè bisogna innanzi tutto viverlo, diversamente rischiamo di predicare l'immagine di un Cristo=Messia compiacente alle nostre opinioni.....ci vuole LA SUA SPOSA, LA SUA CHIESA, non si può separare lo Sposo dalla Sposa....

.... la grazia del movimento ecumenico è strettamente legata all’impegno missionario. I missionari furono i primi a recepire la tragedia della divisione; furono i delegati delle Società missionarie che si incontrarono per la Conferenza internazionale di Edinburgo nell’estate del 1910. Mentre si avvicina il centenario di questo storico evento è opportuno riflettere nella preghiera come le due cose – missione e unità – non possono essere disgiunte, l’una chiama l’altra, devono procedere insieme....
occorre PREGARE e fare ogni sforzo, ma nessun compromesso alla Verità....


Forse la vecchia Europa si è abituata alle divisioni fra le Chiese. Ma dove soffia il vento dello Spirito e la missione mette le ali, l’unità non può essere ulteriormente disattesa.

Buona Settimana di Preghiera a tutti!

Caterina63
00domenica 11 marzo 2012 08:50
VESPRI IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SAN GREGORIO MAGNO ALLA PRESENZA-VISITA DELL'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY

Basilica di San Gregorio al Celio
Sabato, 10 marzo 2012

OMELIA DEL SANTO PADRE

Vostra Grazia,
Venerati Fratelli,
cari Monaci e Monache Camaldolesi,
cari fratelli e sorelle!

È per me motivo di grande gioia essere qui oggi in questa Basilica di San Gregorio al Celio per la solenne celebrazione vespertina nella memoria del Transito di San Gregorio Magno. Con voi, cari Fratelli e Sorelle della Famiglia camaldolese, rendo grazie a Dio per i mille anni dalla fondazione del Sacro Eremo di Camaldoli da parte di san Romualdo. Mi rallegro vivamente della presenza, in questa particolare circostanza, di Sua Grazia il Dottor Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. A Lei, caro Fratello in Cristo, a ciascuno di voi, cari Monaci e Monache, e a tutti i presenti rivolgo il mio cordiale saluto.

Abbiamo ascoltato due brani di san Paolo. Il primo, tratto dalla Seconda Lettera ai Corinzi, è particolarmente in sintonia con il tempo liturgico che stiamo vivendo: la Quaresima. Esso, infatti, contiene l’esortazione dell’Apostolo ad approfittare del momento favorevole per accogliere la grazia di Dio.

Il momento favorevole è naturalmente quello in cui Gesù Cristo è venuto a rivelarci e donarci l’amore di Dio per noi, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione. Il “giorno della salvezza” è quella realtà che san Paolo chiama in un altro luogo la “pienezza dei tempi”, il momento in cui Dio incarnandosi entra in modo del tutto singolare nel tempo e lo riempie con la sua grazia.


A noi spetta dunque accogliere questo dono, che è Gesù stesso: la sua Persona, la sua Parola, il suo Santo Spirito. Inoltre, sempre nella prima Lettura che abbiamo ascoltato, san Paolo ci parla anche di se stesso e del suo apostolato: di come egli si sforzi di essere fedele a Dio nel suo ministero, perché esso sia veramente efficace e non risulti invece di ostacolo per la fede. Queste parole ci fanno pensare a san Gregorio Magno, alla testimonianza luminosa che diede al popolo di Roma e alla Chiesa intera con un servizio irreprensibile e pieno di zelo per il Vangelo. Veramente si può applicare anche a Gregorio ciò che Paolo scrisse di sé: la grazia di Dio in lui non è stata vana (cfr 1 Cor 15,10). E’ questo, in realtà, il segreto per la vita di ciascuno di noi: accogliere la grazia di Dio e acconsentire con tutto il cuore e con tutte le forze alla sua azione. E’ questo il segreto anche della vera gioia, e della pace profonda.

La seconda Lettura era tratta invece dalla Lettera ai Colossesi.

Sono le parole – sempre così toccanti per il loro afflato spirituale e pastorale – che l’Apostolo rivolge ai membri di quella comunità per formarli secondo il Vangelo, perché qualunque cosa facciano, “in parole e opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù” (Col 3, 17). “Siate perfetti” aveva detto il Maestro ai suoi discepoli; e ora l’Apostolo esorta a vivere secondo questa misura alta della vita cristiana che è la santità. Può farlo perché i fratelli a cui si rivolge sono “scelti da Dio, santi e amati”.

Anche qui alla base di tutto c’è la grazia di Dio, c’è il dono della chiamata, il mistero dell’incontro con Gesù vivo. Ma questa grazia domanda la risposta dei battezzati: richiede l’impegno di rivestirsi dei sentimenti di Cristo: tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità, perdono reciproco, e sopra tutto, come sintesi e coronamento, l’agape, l’amore che Dio ci ha donato mediante Gesù e che lo Spirito Santo ha effuso nei nostri cuori. E per rivestirsi di Cristo è necessario che la sua Parola abiti tra noi e in noi con tutta la sua ricchezza, e in abbondanza. In un clima di costante rendimento di grazie, la comunità cristiana si nutre della Parola e fa risalire verso Dio, come canto di lode, la Parola che Lui stesso ci ha donato. Ed ogni azione, ogni gesto, ogni servizio, viene compiuto all’interno di questa relazione profonda con Dio, nel movimento interiore dell’amore trinitario che scende verso di noi e risale verso Dio, movimento che nella celebrazione del Sacrificio eucaristico trova la sua forma più alta.

Questa Parola illumina anche le liete circostanze che ci vedono riuniti oggi, nel nome di San Gregorio Magno. Grazie alla fedeltà e alla benevolenza del Signore, la Congregazione dei Monaci Camaldolesi dell’Ordine di San Benedetto ha potuto percorrere mille anni di storia, nutrendosi quotidianamente della Parola di Dio e dell’Eucaristia, così come aveva insegnato loro il fondatore san Romualdo, secondo il “triplex bonum” della solitudine, della vita in comune e dell’evangelizzazione. Figure esemplari di uomini e donne di Dio, come san Pier Damiani, Graziano – l’autore del Decretum – san Bruno di Querfurt e i Cinque Fratelli martiri, Rodolfo I e II, la Beata Gherardesca, la Beata Giovanna da Bagno e il Beato Paolo Giustiniani; uomini di scienza e di arte come Fra Mauro il Cosmografo, Lorenzo Monaco, Ambrogio Traversari, Pietro Delfino e Guido Grandi; storici illustri come gli Annalisti Camaldolesi Giovanni Benedetto Mittarelli e Anselmo Costadoni; zelanti Pastori della Chiesa, fra i quali spicca il Papa Gregorio XVI, hanno mostrato gli orizzonti e la grande fecondità della tradizione camaldolese.

Ogni fase della lunga storia dei Camaldolesi ha conosciuto testimoni fedeli del Vangelo, non soltanto nel silenzio del nascondimento e della solitudine e nella vita comune condivisa con i fratelli, ma anche nel servizio umile e generoso verso tutti. Particolarmente feconda è stata l’accoglienza offerta dalle foresterie camaldolesi. Ai tempi dell’umanesimo fiorentino le mura di Camaldoli hanno accolto le famose disputationes, alle quali partecipavano grandi umanisti quali Marsilio Ficino e Cristoforo Landino; negli anni drammatici della seconda guerra mondiale, gli stessi chiostri hanno propiziato la nascita del famoso “Codice di Camaldoli”, una delle fonti più significative della Costituzione della Repubblica Italiana. Non furono meno fecondi gli anni del Concilio Vaticano II, durante i quali sono maturate tra i Camaldolesi personalità di grande valore, che hanno arricchito la Congregazione e la Chiesa e hanno promosso nuovi slanci e insediamenti negli Stati Uniti d’America, in Tanzania, in India e in Brasile. In tutto questo, era garanzia di fecondità il sostegno di monaci e monache che accompagnavano le nuove fondazioni con la preghiera costante, vissuta nel profondo della loro “reclusione”, qualche volta fino all’eroismo.

Il 17 settembre 1993, il Beato Papa Giovanni Paolo II, incontrando i monaci nel Sacro Eremo di Camaldoli, commentava il tema del loro imminente Capitolo Generale, “Scegliere la speranza, scegliere il futuro”, con queste parole: “Scegliere la speranza e il futuro significa, in ultima analisi, scegliere Dio … Significa scegliere Cristo, speranza di ogni uomo”. E aggiungeva: “Ciò avviene, in particolare, in quella forma di vita che Dio stesso ha suscitato nella Chiesa ispirando San Romualdo a fondare la Famiglia benedettina di Camaldoli, con la caratteristica complementarità di Eremo e Monastero, vita solitaria e vita cenobitica tra loro coordinate”. Il mio Beato Predecessore sottolineò inoltre che “scegliere Dio vuol dire anche coltivare umilmente e pazientemente – accettando, appunto, i tempi di Dio – il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso”, sempre a partire dalla fedeltà al carisma originario ricevuto da san Romualdo e trasmesso attraverso una millenaria e pluriforme tradizione.

Incoraggiati dalla visita e dalle parole del Successore di Pietro, voi monaci e monache camaldolesi avete proseguito il vostro cammino ricercando sempre di nuovo il giusto equilibrio tra lo spirito eremitico e quello cenobitico, tra l’esigenza di dedicarvi interamente a Dio nella solitudine e quella sostenervi nella preghiera comune e quella di accogliere i fratelli perché possano attingere alle sorgenti della vita spirituale e giudicare le vicende del mondo con coscienza veramente evangelica. Così voi cercate di conseguire quella perfecta caritas che san Gregorio Magno considerava punto di arrivo di ogni manifestazione della fede, impegno che trova conferma nel motto del vostro stemma: “Ego Vobis, Vos Mihi”, sintesi della formula di alleanza tra Dio e il suo popolo, e fonte della perenne vitalità del vostro carisma.

Il Monastero di San Gregorio al Celio è il contesto romano in cui celebriamo il millennio di Camaldoli insieme con Sua Grazia l’Arcivescovo di Canterbury che, insieme con noi, riconosce questo Monastero come luogo nativo del legame tra il Cristianesimo nelle Terre britanniche e la Chiesa di Roma. L’odierna celebrazione è dunque connotata da un profondo carattere ecumenico che, come sappiamo, fa parte ormai dello spirito camaldolese contemporaneo. Questo Monastero camaldolese romano ha sviluppato con Canterbury e la Comunione Anglicana, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, legami ormai tradizionali. Per la terza volta oggi il Vescovo di Roma incontra l’Arcivescovo di Canterbury nella casa di san Gregorio Magno. Ed è giusto che sia così, perché precisamente da questo Monastero il Papa Gregorio scelse Agostino e i suoi quaranta monaci per inviarli a portare il Vangelo fra gli Angli, poco più di mille e quattrocento anni fa. La presenza costante di monaci in questo luogo, e per un tempo così lungo, è già in se stessa testimonianza della fedeltà di Dio alla sua Chiesa, che siamo felici di poter proclamare al mondo intero. Il segno che insieme porremo davanti al santo altare dove Gregorio stesso celebrava il Sacrificio eucaristico, ci auguriamo che resti non soltanto come ricordo del nostro incontro fraterno, ma anche come stimolo per tutti i fedeli, Cattolici ed Anglicani, affinché, visitando a Roma i sepolcri gloriosi dei santi Apostoli e Martiri, rinnovino anche l’impegno di pregare costantemente e di operare per l’unità, per vivere pienamente secondo quell’“ut unum sint” che Gesù ha rivolto al Padre.

Questo desiderio profondo, che abbiamo la gioia di condividere, lo affidiamo alla celeste intercessione di San Gregorio Magno e di San Romualdo. Amen.


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