Portiamo in processione

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00venerdì 14 agosto 2009 18:41
Forse è l'inizio
«Portiamo in processione
i santi, non il dio denaro»
Un intero paese, Maschito, in pro­vincia di Potenza e in diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, dovrà ri­nunciare alla «celebrazione dell’Eucari­stia e di ogni altra celebrazione sacra­mentale o manifestazione cultuale, ec­cetto la Comunione agli ammalati, l’un­zione degli infermi ed il rito funebre». La delicata decisione, sofferta e a lungo meditata, è stata assunta da monsignor Gianfranco Todisco, vescovo della dio­cesi lucana dopo che, domenica scorsa, nel piccolo centro albanofono che con­ta meno di duemila anime, la festa pa­tronale dedicata a sant’Elia Profeta non si è svolta secondo le vigenti disposizio­ni pastorali. In particolare, alcuni citta­dini sono venuti meno non solo alle in­dicazioni della diocesi e della parrocchia ma dello stesso comitato feste: insieme ci si era accordati per il divieto di «at­taccare denaro alle sacre immagini » e quindi di appendere soldi sulla statua del santo.

Esattamente il contrario di quanto avvenuto domenica scorsa. Su­bito dopo la celebrazione della Messa, infatti, nell’imminenza dell’inizio della processione della statua del santo per le vie del paese, alcuni maschitani non hanno rispettato gli impegni assunti me­si prima, apponendo i nastri su cui si rac­colgono le offerte dei devoti. Il vescovo ha quindi deciso di abbandonare la pro­cessione, sostare in chiesa e pregare. «Ho preferito non partecipare ad un e­vento che non rientrava nei canoni – spiega il presule – e che non era previsto dagli accordi presi con il locale comita­to.

Proprio per promuovere nella popo­lazione le nuove indicazioni pastorali, molti giorni prima della ricorrenza ave­vo fatto diffondere 500 manifesti da me firmati in cui richiamavo, tra l’altro, l’im­portanza di non far perdere alle feste re­ligiose il peculiare significato di espres­sione genuina della pietà popolare». Nel manifesto è evidente il riferimento a una norma approvata nel 1991 da tut­ti i vescovi della Basilicata in cui viene ri­badito che «la processione sia una vera manifestazione di fede e non un modo per raccogliere denaro. Anzi si esortino i fedeli a consegnare le offerte al di fuo­ri dei sacri riti. Comunque, è severa­mente vietato attaccare denaro sulla sa­cra immagine e mettere all’asta il tra­sporto della statua (la cosiddetta 'lici­ta'), e ad appendere i soldi alla sacra im­magine che si porta in processione». Venendo incontro alle richieste dei cit­tadini, monsignor Todisco aveva con­cesso l’autorizzazione alla 'licita' ma per l’ultima volta. «Non voglio togliere nul­la alla festa – aggiunge Todisco – e so che le offerte sono importanti per le mani­festazioni collaterali e il sostegno delle chiese ma possono anche essere fatte in forma anonima».

La questione ha radi­ci antiche: «Lo stesso mio predecessore, monsignor Vincenzo Cozzi – rileva il ve­scovo –, ha avuto problemi e anche l’o­pera di alcuni sacerdoti che si sono suc­ceduti a Maschito è stata poco efficace tanto che ultimamente ho assunto io la guida pastorale della parrocchia. È vero che sono soprattutto gli anziani o i ma­lati che maggiormente ci tengono a fare offerte direttamente sulla statua del san­to, perché 'si è fatto sempre così, è la tra­dizione'. Non c’è dubbio che si tratta di un gesto di devozione, frutto di sacrifici e di rinunce. Teniamo presente, però, che ricoprendo l’immagine sacra di sol­di, diamo l’impressione di portare in processione non un santo ma il 'dio de­naro', e di ostentare, come nel caso del­la licita, il poco o molto che doniamo».

La sospensione dell’Eucaristia – si legge nel provvedimento di «censura» firma­to da Todisco in data lunedì 10 agosto – durerà «fino a quando la comunità non accetterà inequivocabilmente le norme universali e particolari stabilite dal Di­ritto e nella fattispecie quelle emanate dalla Conferenza episcopale di Basilica­ta nel direttorio del 1991, nonché ogni al­tro atto di governo posto dal vescovo». Lo stesso lunedì il Collegio dei consultori della diocesi ha espresso «dolore e ama­rezza » per l’accaduto. In un comunica­to i sacerdoti si dicono «solidali» e «in a­desione » con le scelte adottate dal ve­scovo.
Vito Salinaro
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