RIBELLI - Lailoken

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- Artax -
00martedì 30 marzo 2004 10:19
LAILOKEN

Memorie

Ho incominciato a scrivere queste pagine per lasciare a voi, figli miei, un insegnamento che in futuro, mi auguro, tramanderete ai vostri figli, così come fece mio padre, verbalmente, con me.
Il motivo che mi ha spinto a trascrivere i miei pensieri su questi fogli è che, miei adoratissimi tesori, avete appena 5 e 6 anni e ancora vivete nel mondo felice e spensierato della fanciullezza: avete ancora qualche anno di fronte a voi prima di fare i conti con la realtà… e purtroppo io vivo già nella realtà, nella dura realtà della guerra che porta sterminio e distruzione a causa della sete incontrollabile di potere e ricchezza di oscuri e malvagi condottieri! Non so se riuscirò un giorno a riabbracciarvi e perciò questo diario, nel caso in cui non dovessi più fare ritorno, sarà per voi un ricordo e allo stesso tempo un insegnamento di come è onorevole e bello donare la propria vita per inseguire quegli ideali di libertà tramandati di generazione in generazione dai nostri antenati; se un felice giorno ci sarà la pace su Elea, sarà anche per merito loro, per merito di vostro nonno, per merito mio, per merito di tutti quelli che combatteranno a fianco dello stendardo della libertà!
Se state leggendo queste righe è perché io non tornerò più; ma non preoccupatevi, non vi ho abbandonato; in qualsiasi parte io starò, veglierò su di voi e aspetterò il vostro momento (spero il più tardi possibile) per riabbracciarvi. Avrei voluto fare ancora molte cose insieme a voi, così come io avrei voluto fare da giovane ancora tante altre cose con mio padre, ma di lui non mi rimane che il ricordo, mentre a voi rimarranno queste memorie, le memorie di un padre che è ancora tanto innamorato della propria famiglia.


I ricordi più nitidi della mia infanzia sono legati proprio a mio padre, il vostro nonno che non avete mai conosciuto: ricordo chiaramente che con lui ho imparato a diventare autosufficiente: mi insegnò, infatti, l’arte della caccia, le tecniche per pescare i pesci più grossi, il modo più rapido e semplice di montare una tenda per la notte, il metodo di accendere un fuoco anche con rami umidi o bagnati. Ricordo che spesso mi portava tra i boschi e dopo ore di cammino ci accampavamo per alcuni giorni in riva a qualche fiumiciattolo e in quei giorni mi insegnava, appunto, a sopravvivere mangiando ciò che raccoglievamo dalle piante o gli animali che riuscivamo a cacciare e i pesci che prendevamo dai fiumi.
Poi un giorno, non so precisamente quanti anni avevo, mio padre partì per la guerra….
Probabilmente fu il secondo giorno più brutto della mia vita in quanto la persona a cui tenevo di più mi stava abbandonando per assolvere ad un obbligo le cui finalità non riuscivo a capirle fino in fondo.
Il giorno più brutto, invece, senza alcuna ombra di dubbio, fu quando mio padre tornò a casa, o per meglio dire fu riportato a casa, privo di vita e con il ventre completamente aperto. Ci dissero che fu colpito da una strana sfera che a contatto col suo corpo è esplosa in fuoco e fiamme, lanciata da un verde mostriciattolo dell’esercito avversario..
Non ho retto allo shock e sono entrato in uno stato catatonico per molto tempo: non parlavo con nessuno, nemmeno con mia madre, mangiavo quel tanto che bastava e mi rinchiudevo in camera a fissare la parete… A volte speravo che non fosse mia madre la persona che entrava a portarmi la ciotola con il pasto e mi giravo con un leggero sorriso pensando di incrociare lo sguardo di mio padre…ma era sempre lei, mia madre, sempre attenta a non farmi mai mancare nulla… ma sempre e solo mia madre! Dove sei, padre? Come posso parlare con te? Ho ancora tante cose da dirti e da imparare dalla tua saggezza…. Sono solo… una madre serve quando si è piccoli, poi un ragazzo ha bisogno di un padre….che gli insegni a pescare, ad arrampicarsi sugli alberi, a cacciare, a combattere.. insomma a vivere… da uomo! Ma adesso che ci penso bene, senza mia madre non sarei sopravvissuto a lungo: mi sarei abbandonato ad una morte lenta e triste….

Le mie notti furono agitate e piene di incubi fino a quando, qualche settimana dopo, feci uno strano sogno, quasi reale, che mi turbò ma che allo stesso tempo mi fece riprendere dall’apatia in cui ero caduto: sognai un uomo che con spada e scudo mi veniva incontro, cercavo di scappare, ma l’uomo era più veloce e roteava la sua spada con una velocità impressionante; mi raggiunse, mi buttò a terra con lo scudo, mi stava addosso, chiusi gli occhi mentre l’uomo alzava l’arma contro di me… sentii un rumore metallico ai miei piedi: aprii gli occhi e vidi la spada per terra e davanti a me l’uomo aveva il volto di mio padre! La sua faccia, però, aveva la parte sinistra completamente colorata di azzurro, anche se i restanti lineamenti erano come li avevo sempre conosciuti; stavo per abbracciarlo ma proprio in quel momento mi ridestai, svegliato da un trambusto scoppiato nel villaggio causato dall’arrivo di un ragazzo ferito, fuggito dal suo villaggio poco distante, completamente distrutto da un gruppetto di orchi affamati. In meno di un’ora furono preparate fortificazioni di fortuna per contrastare un’eventuale incursione degli orchi e tutti gli adulti del villaggio furono dotati di ogni tipo di arma o oggetto contundente. La giornata, fortunatamente, passò senza alcun tipo di scontro e gli orchi furono avvistati mentre tornavano sulle colline, probabilmente appagati dalla scorreria nel villaggio più sfortunato del nostro.
La paura per l’incursione degli orchi e la visione in sogno di mio padre mi risvegliarono da quel torpore mentale che per tanto tempo mi aveva imprigionato nelle quattro mura della mia stanza; come una torcia che improvvisamente illumina una caverna buia, mi tornarono alla memoria, come d’incanto, le storie di mio padre che raccontavano di eserciti invasori, elfi traditori, orchi devastatori, mostri orrendi, scheletri e ombre demoniache che infestavano le nostre terre…. e adesso risuonavano ben chiare quelle parole, apparentemente fantasiose per un adolescente quale ero a quei tempi, che lui mi ripeteva più volte, quasi come una cantilena: “La libertà di un popolo vale più delle nostre singole vite; bisogna combattere per questo fino a quando si hanno le forze e fino all’ultimo battito del cuore…”.
Troppo tempo avevo aspettato nell’ombra; capii solo ora che il mondo andava avanti anche senza mio padre e che, proprio per non rendere vana la sua morte, avrei dovuto impugnare la spada per combattere per quello in cui lui credeva.
Il giorno dopo, all’alba, preparai la mia roba e al risveglio di mia madre le dissi che avevo intenzione di arruolarmi nell’esercito e sarei partito quel giorno stesso. La abbracciai affettuosamente mentre dai suoi occhi già sgorgavano copiose le lacrime: aveva sempre saputo che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato.
Al crepuscolo di quella stessa giornata già intravedevo i fumi delle case di Wermat, la città dove avrei trovato le migliori caserme di addestramento di Elea.

Passai tre anni ad addestrarmi duramente a Wermat prima di essere finalmente assegnato ad un distaccamento dell’esercito del clan degli Spaccaroccia.
Al termine dell’addestramento standard, il mio diretto ufficiale, Bear, passò ancora alcune settimane ad insegnare a me e alle altre nuove reclute preziosi accorgimenti per poter applicare in battaglia le nozioni teorico-pratiche utilizzate sui campi di addestramento: “Quando ti trovi di fronte all’esercito nemico, non c’è tempo per pensare, ma devi eseguire gli ordini alla perfezione per non lasciare che neanche uno sputo avversario attraversi il nostro schieramento di torri!”
Finalmente arrivò il grande momento: Bear ci presentò al comandante in carica, Uriel, per poter entrare ufficialmente a far parte dell’esercito attivo degli Spaccaroccia; non facemmo, però, neanche in tempo a terminare il banchetto preparato in nostro onore che arrivò un dispaccio urgente firmato dal Generale Blaster in persona nel quale invitava tutti i comandanti dei vari clan a riunire i propri eserciti per contrastare l’avanzata del Caos che stava pericolosamente avvicinandosi alla capitale.
Un misto tra angoscia e impazienza mi invadeva mentre preparavo lo zaino da portare in battaglia; mi ritornarono in mente le parole di mio padre e il sogno, il volto di mia madre che piangeva nel dirmi addio e in quelle lacrime riconobbi le mie, che versai quando anni prima fu mio padre a lasciarci…
Durante la marcia per raggiungere gli altri clan il mio cuore batteva all’impazzata, pieno non più di angoscia ma di emozione: stavo finalmente per combattere per la libertà e decisi che ad ogni battaglia avrei colorato il mio volto di blu affinché su di esso rimanesse impressa la memoria della fierezza con cui mio padre morì per cercare di donare a me e ai figli di Elea la pace.
Tra le varie storie raccontate da mio padre mi ricordai di una favola che raccontava le gesta di un eroe, “Lailoken”, il cui nome significa, in una lingua antica, “colui che protegge i deboli”; decisi che da quel momento in poi tutti quanti mi avrebbero chiamato con quel nome a conferma del fatto che il ragazzo apatico e timoroso di un tempo era morto e sepolto per far sorgere il guerriero forte e coraggioso che avrebbe combattuto anche da solo contro gli invasori.
Ormai ho partecipato già a diverse battaglie e ogni volta che mi trovo lì, in prima linea, con solo il mio scudo interposto all’esercito nemico, provo sempre la stessa rabbia e la stessa voglia di respingere quegli invasori che stanno usurpando e distruggendo le nostre terre. Sui loro volti vedo solamente ferocia, odio distruttivo e crudeltà che al solo pensiero mi si rivoltano le budella; niente a che vedere con l’onore di chi, come noi Ribelli, combatte per un ideale puro e non macchiato da arroganza, falsità, menzogne o atrocità varie di cui si macchiano i vessilli degli usurpatori.
Più volte mi è capitato di trovarmi faccia a faccia con un nemico ferito, a terra, che implorava un po’ di pietà e ogni volta il mio primo istinto è quello di farlo soffrire il più possibile, così come hanno sofferto tutte le nostre donne violentate dalla loro barbarie o come hanno sofferto i nostri prigionieri, costretti a subire ogni tipo di sevizie prima di essere atrocemente giustiziati… ma in questo modo mi metterei sul loro stesso piano e se davvero vogliamo un mondo più giusto e rispettabile, allora dobbiamo comportarci onorevolmente anche di fronte a un disgustoso violentatore e seviziatore e consegnarlo per farlo processare per i suoi crimini piuttosto che torturarlo. E allora, messo da parte l’odio e il rancore, dopo tutto riesco ancora a non uccidere quei nemici che, di fronte a me, chiedono pietà e che non si possono difendere; per me, infatti, vale molto di più risparmiare un nemico sconfitto piuttosto che ucciderne dieci in battaglia.

Poche pagine di diario non possono certo sopperire alla presenza fisica di un padre, però mi auguro sarete lo stesso fieri di me e sappiate in futuro credere nei valori in cui ho creduto anch’io; avrei ancora tante cose da dirvi di persona, vorrei ancora stringervi forte tra le mie braccia, giocare con voi, insegnarvi a cavalcare, a cacciare, a usare la spada, ma purtroppo questo non sarà possibile perché io sono LAILOKEN, figlio della Libertà e per essa io darò la vita combattendo nell’esercito dei Ribelli, coloro che riporteranno l’onore sulla terra di Elea!

Con immenso amore….. vostro padre.
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