A questo proposito non sarà discaro ai nostri lettori se parleremo loro un poco del come in Roma si fabbricano le reliquie che si spandono in così grande abbondanza per tutto il mondo cattolico.
Vi è in Roma una sacra congregazione chiamata delle indulgenze e sacre reliquie, composta di cardinali, e teologi chiamati consultori. Cotesta congregazione giudica della veracità delle reliquie ne' rari casi che la questione è trattata giuridicamente. Ma in Roma ove è la miniera delle reliquie, ed il magazzino generale chiamato custodia, giudica della verità di esse, apparentemente e per la forma, il cardinal vicario; realmente poi, un padre Gesuita preposto alle catacombe.
Nelle catacombe romane, ossia antichi cemeteri sotterranei, sotto la direzione di un padre Gesuita, lavorano alcuni contadini, praticando degli scavi per trovare corpi di santi. Costoro sono chiamati dai Romani corpisantari. Quando trovano delle ossa, chiamano il rev. Padre, il quale dichiara se quelle ossa hanno appartenuto ad un santo o ad un martire. Se le giudica ossa di santo, sono poste in una cassa apposita e portate dai corpisantari al magazzino, ossia custodia delle reliquie, e come reliquie di santo o santa si distribuiscono alla occasione. Se vi è una lapide col nome, si chiamano santi di nome proprio; se non vi è, allora il cardinal vicario gl'impone un nome a suo piacere, e questi si chiamano santi battezzati.
Il P. Mabillon, Benedettino e zelante Cattolico, ha scritto un pregevolissimo libretto intitolato - Lettera di Eusebio romano a Teofilo francese sopra il culto dei santi non conosciuti - e questo per provare che molte di quelle reliquie sono tutt'altro che reliquie di santi. Egli incomincia col dire, che "se qualcuno sentirà dispiacere di ciò ch'egli dirà, lo prega a ricordarsi ch'egli non parla per far dispute, nè per far dispiacere a chicchessia, ma solo per lo zelo della religione, la quale è egualmente disonorata per i due eccessi o di credere troppo, o di credere poco."
Parlando de' santi che si estraggono dalle catacombe, il dotto Benedettino dice che la più parte di essi sono tutt'altro che corpi di santi; non solo non presentano prove della loro santità e del loro martirio; ma anzi alcuni di essi ne presentano tali da escludere l'uno e l'altra. In quanto ai santi battezzati dice il Mabillon: "Il cardinal vicario, o Monsignor sacrista, gl'impongono quel nome che vogliono:" e così il cadavere di un uomo prende spesso il nome gentile di una giovanetta, e come tale è vestito, ed ha la sua maschera di cera.
Ma su quali indizi il rev. Padre gesuita decide che quelle ossa hanno appartenuto ad un santo e ad martire? Sentiamo Mabillon.
"I segni sui quali si decide la santità ed il martirio sono una croce, il monogramma di Gesù Cristo, un A ed un Omega, la immagine del buon pastore o di un agnello, o alcuni simboli dell'Antico e Nuovo Testamento. Ma se cotali segni indicano tutto al più il sepolcro di un cristiano, non sono per ciò una prova che esso sia il sepolcro di un santo." Passa poi a parlare di un altro segno che è tenuto per decisivo del martirio, cioè le palme."Coteste palme, egli dice, sono un segno assai equivoco: spesse volte quelle che si prendono per figure di palme non sono che figure di cipresso, che indicano il lutto, e non il trionfo. Ma quando anche fossero vere palme, non indicherebbero perciò necessariamente il martirio." E cita l'esempio del sepolcro di Flavia Giovinia, figlia di Flavio Giovinio console nell'anno 367.Sul suo sepolcro vi erano il monogramma di Cristo, circondato da una corona di alloro, vi erano due bellissime palme; e la iscrizione diceva che essa era solamente neofita, ed era morta in pace (deposita neophita in pace IX Kal. octobr.).
La sacra congregazione delle indulgenze e sacre reliquie col suo decreto 10 aprile 1668 ha dichiarato che per poter giudicare con certezza che il cadavere trovato nelle catacombe abbia appartenuto ad un martire, non bastano le palme, ma bisogna che vi sia un vaso col sangue. Il P. Mabillon su questo dice: "Il decreto della s. congregazione è savissimo, supponendo però che si possa essere certi che quel vaso avesse contenuto il sangue; e non piuttosto profumi, o cose simiglianti." Chi non sa difatti che gli antichi solevano porre ne' sepolcri un piccolo vaso di vetro che conteneva le lacrime de' parenti e degli amici del defunto?
Le iscrizioni che si trovano sui sepolcri nelle catacombe sono spesso fallaci. La iscrizione della celebre S. Filomena trovata nel 1805 dice queste sole precise parole - LUMENA PAX TECUM FI - come si rileva da essa iscrizione che la proprietaria di quelle ossa si chiamasse Filomena, fosse santa, fosse stata martire? Il dotto Benedettino cita i fatti in prova che si venerano santi la cui iscrizione dice di loro tutt'altro. Egli dice che nelle Spagne vi è un S. Viar in gran voga; la di lui santità è autenticata da un pezzo di lapide trovata vicino al suo corpo nel quale è scritto S. Viar: gli archeologi che hanno esaminata quella iscrizione han dimostrato che essa è un frammento di una lapide innalzata ad un prefetto delle strade: PRAEFECTUS VIARUM; e della quale non è restato che la S. di praefectus, e il VIAR di viarum.
"Nella cappella interna dell'abazia di S. Martino Pontoise, si venera un corpo santo portato da Roma con la seguente iscrizione:
URSINUS. CUM. COJUGE. LEONTIA.
VIXIT. ANNIS. XX. M. VI. ET. FUIT.
IN. SECULO. ANNIS.
XLVIII. M. IIII. D. III. KAL. IUN.
vale a dire:
"
Ursino visse con la sua moglie Leonzia 20 anni e sei mesi, e nel secolo 48 anni, 4 mesi e tre giorni. Morì il primo di Giugno.
"Coloro che leggeranno questa iscrizione non vi troveranno alcun segno nè della santità di Ursino, nè di quella della sua moglie." È il P. Mabillon che lo dice.
Ma havvi ancora di peggio.
"Gli Agostiniani di Tolosa, dice lo stesso autore, hanno pubblicamente dato il titolo di martire a Giulia Evodia, senza altra prova che la seguente iscrizione che è stata trovata in Roma nel cemeterio di Calisto sopra quel corpo che è in venerazione:
D. M.
IULIA. EVODIA. FILIA. FECIT.
CASTAE. MATRI. ET. BENE. MERENTI.
QUAE. VIXIT. ANNIS. LXX.
cioè: Ai dei infernali. Giulia Evodia figlia, ha fatto questo monumento di gratitudine alla sua casta madre, che visse 70 anni.
"Due errori han commessi gli Agostiniani di Tolosa: il primo di servirsi di questa iscrizione per autorizzare il titolo di martire che dànno a Giulia Evodia, mentre è impossibile trovare in essa un tal titolo (Le due lettere D. M. che come sa ognuno che conosce i primi elementi delle antichità romane significano Diis Manibus, sono state interpretate non so se per ignoranza o per mala fede Diva Martyr); il secondo errore è di dare cotal titolo a Giulia Evodia (che fece il monumento), in luogo di darlo alla casta madre della quale erano le ossa."
Per non trasformare questa nota in un trattato, ci limiteremo a dire che la impostura delle reliquie è cosa così evidente, che un poco di senso comune basta per esserne convinto.
Il legno della croce del Signore da molti secoli si distribuisce in Roma e nell'Oriente. Nella basilica di S. Croce in Roma ce ne è un grosso pezzo, un altro pezzo è nell'obelisco vaticano, una porzione in Costantinopoli; e la custodia delle reliquie in Roma ne dà ogni giorno a tutti. Tutti i vescovi ne hanno un pezzo nella loro croce pettorale: non vi è chiesa che non ne abbia il suo pezzo; inguisachè se si raunassero tutti i pezzi esistenti, senza calcolare quelli che in tanti secoli sono andati perduti, vi sarebbe tanto legno della croce da caricarne più bastimenti.
Del latte della Vergine Maria ve ne sono tante bottiglie da empirne una dispensa. Il corpo di S. Andrea Apostolo è in cinque differenti luoghi, la sua testa, che doveva pure essere una, è in sei luoghi, e si contano di lui 17 braccia. Il corpo di S. Clemente è in tre diversi luoghi, e la sua testa in cinque. S. Ignazio martire, che fu mangiato dalle fiere nell'anfiteatro, ha tre corpi, sei teste, e sette braccia in diversi luoghi. S. Giacomo il minore ha quattro corpi, dieci teste, e dodici braccia. La testa di S. Giovanni Battista sta in dieci luoghi, e si venera il suo dito indice in undici chiese. Potremmo tirare assai a lungo questo catalogo; ma basti questo piccolo saggio per far vedere qual fede debba prestarsi alla indentità delle reliquie, e con quanta ragione il signor Pasquali contestava l'autenticità della sedia di S. Pietro.
Quando Maometto II prese Costantinopoli, raccolse con gran cura tutte le reliquie, e le serbò nel suo tesoro, per farne commercio. Era ancora il tempo nel quale si correva dietro a cotali cose; e molti principi offrivano al sultano buone somme per avere da lui una reliquia, e più essa era rara, più era pagata. Ognuno vede quale autenticità potevano avere le reliquie vendute da Maometto e suoi successori. Saladino sultano di Gerusalemme faceva lo stesso commercio; e così l'Europa fu riempiuta di quelle reliquie che non reggono neppure alla critica la più superficiale: intanto la Chiesa romana le adora, e ne celebra la festa con uffizio e messa.